“Storia di chi fugge e di chi resta”, Elena Ferrante

    Questo libro ha avuto la sfortuna di entrare nella mia vita nel periodo a cavallo fra gli ultimi giorni di ferie ed il rientro a lavoro. Ormai si trovano innumerevoli articoli sulle difficoltà che caratterizzano la fine delle ferie quindi non mi dilungherò in spiegazioni, mi limiterò a dire che le mie energie sono state utilizzate quasi interamente per riassestarmi ai ritmi quotidiani.

    Detto questo, sono grata alla Ferrante, al suo modo di scrivere, alla sua capacità di tenermi incollata alle sue pagine perché, se si fosse trattato di un qualsiasi altro libro, sono certa che lo avrei finito di leggere l’estate prossima.

    E invece eccomi qui, nel primo giorno del nono mese dell’anno, pronta ad iniziare il quarto ed ultimo volume con una grande curiosità che scaturisce da una frase, un pensiero che suona quasi come una promessa: “è in atto qualcosa di grande che dissolverà tutto il vecchio modo di vivere ed io sono parte di questa dissoluzione.”

    Come di consueto, di seguito riporto i passaggi che mi hanno emozionato maggiormente, nessuno spoiler.

    “Sentivo che non solo nel mio libro, ma in generale nei romanzi, c’era qualcosa che davvero mi agitava, un cuore nudo e palpitante, lo stesso che mi era schizzato fuori dal petto nell’attimo lontano in cui Lila aveva proposto di scrivere insieme una storia.”

    Diventare. Era un verbo che mi aveva sempre ossessionata, me ne accorsi per la prima volta solo in quella circostanza. Io volevo diventare, anche se non avevo mai saputo cosa. Ed ero diventata, questo era certo, ma senza un oggetto, senza una vera passione, senza un’ambizione determinata. Ero voluta diventare qualcosa – ecco il punto- solo perché temevo che Lila diventasse chissà chi ed io rimanessi indietro. Il mio diventare era diventare dentro la sua scia. Dovevo ricominciare a diventare, ma per me, da adulta, fuori di lei.”

    “È un dispiacere la solitudine femminile delle testa, mi dicevo, è uno sciupio questo tagliarsi via l’una dall’altra, senza protocolli, senza tradizione.”

    “Quale intrico di fili dai capi irrintracciabili mi scoprii dentro, in quel periodo.”