Perché leggere ad alta voce a scuola

    Gli studi sui benefici della lettura ad alta voce sono ormai molto diffusi anche in Italia e, sebbene sia molto tentata di ripercorrerli di seguito, proverò invece a raccontare la mia esperienza diretta, sperando di aggiungere dettagli che vi facciano venire voglia di saccheggiare librerie e biblioteche e portare in classe valigie piene di libri.

    Se siete maestre, maestri, professoresse e professori che già stanno leggendo ad alta voce, spero che questo articolo sia una piacevole conferma di quello che fate e se avete qualcosa da aggiungere io sono ben felice di leggere mail di colleghi.

    Leggere ad alta voce in classe significa garantire a tutti i bambini e le bambine l’accesso alle storie. Le storie non sono ‘roba da piccoli’, ma sono la nostra vita, rappresentano il nostro modo di organizzare pensieri e ricordi (e non lo dico io eh, ci sono fior fiore di studi e letteratura scientifica al riguardo) e, ancora più importante, ci aiutano ad immaginare il nostro futuro. Non perché il futuro debba essere la bella o la brutta copia di una storia letta in classe, ma semplicemente perché le storie amplificano l’idea di poter scrivere, riscrivere e modificare il nostro finale. Le storie che troviamo nei libri (e per libri intendo anche gli illustrati ed i fumetti) ci forniscono parole ed immagini per leggere la realtà, noi stessi ed il mondo che ci circonda.

    Ma non c’è solo questo. La lettura ad alta voce condivisa fa bene a chi ascolta, ma anche a chi legge e crea dei legami unici. Non ci sediamo più intorno al fuoco ad ascoltare storie, a cantare, ballare e suonare, ma portare un libro in classe vi darà la possibilità di ricreare la magia di questo rito antico.

    Entrare in una scuola dell’infanzia con una borsa piena di libri vi renderà dei super eroi e super eroine agli occhi dei bambini; la magia durerà ancora per qualche anno alla scuola primaria e poi le cose si complicheranno molto con il passare degli anni. Questo non significa arrendersi al primo ostacolo o al primo libro sbagliato, ma continuare a leggere e condividere storie, stare in ascolto ed accogliere le eventuali critiche dei più giovani. Se la storia che abbiamo scelto non fa colpo sulla classe possiamo fermarci e parlarne; abbiamo l’occasione d’oro per proporre un confronto costruttivo: “cosa c’è che non vi piace in questa storia?”, “cosa la rende noiosa?”, “che tipo di storia vi piacerebbe leggere?”, “hai un titolo da proporre?”.

    Certo, l’ultima è una domanda rischiosa, ma quale occasione migliore per aprire un dialogo?

    Quando vado nelle scuole come esperta di lettura (titolo che mi fa un po’ strano per l’idea di ‘esperta’, ma teniamolo così!) ho poche ore a disposizione, 8 se sono fortunatissima o soltanto 1 nella peggiore delle ipotesi.

    Eppure succedono talmente tante cose belle in così poco tempo che posso solo immaginare la fortuna di poter leggere ad alta voce alle proprie classi per tutto l’anno scolastico.

    Nella foto di copertina dell’articolo vedete le manine di bambini e bambine di una classe seconda della scuola primaria riuniti intorno ai libri che abbiamo letto nelle 7 ore che ho trascorso con loro. Ci sono tante storie diverse di amicizia, di bambini, bambine ed animali. C’è anche Ugo e Poppy, libro che abbiamo finito di leggere poco prima della proclamazione dei vincitori del Premio Strega Ragazzi e questa è stata l’occasione per raccontare alla classe del premio, mostrare alcune fotografie della cerimonia di premiazione e commentare l’intervista all’autore.

    Tutte le volte che entro in una classe arrivo con una o due borse piene di libri e quelle borse, non solo non sono mai uguali, ma portano con sé tante ore di lettura individuale, di ricerca e di preparazione. Scegliere le storie da portare in classe è un’enorme responsabilità, soprattutto quando si ha la consapevolezza di non avere troppe ore a disposizione.

    Quando penso ai libri che leggerò, provo ad immaginare le domande che mi faranno in classe e puntualmente rimango sorpresa dalla totale imprevedibilità di ciò che le storie fanno emergere. L’anno scorso ho letto in una quinta primaria Giuditta e l’orecchio del diavolo, un libro meraviglioso e a tratti crudo e triste, che racconta una storia partigiana. Certo, la fucilazione dei partigiani ed il racconto dei rastrellamenti del ghetto ha sollevato diverse domande, ma la discussione più vivace si è accesa intorno al ‘caffè surrogato’ perché, una volta spiegato cosa fosse, tutta la classe (me compresa) si è lanciata alla ricerca dell’anno d’invenzione di certi prodotti di marca che usiamo adesso (i vari caffè e cioccolate in polvere) e poi, si sa, da cosa nasce cosa, e la ricerca si è estesa per cercare di capire meglio quali fossero i prodotti alimentari e non a disposizione di una famiglia italiana nel 1940. Io non me lo sarei mai aspettato eppure è successo. E la cosa più magica di tutto questo è che, quasi sicuramente, non succederà in altre classi.

    E così, anche lo stesso libro, letto a classi diverse diventa quasi un libro diverso.

    Quando entro nelle classi delle scuole secondarie (comunemente chiamate medie e superiori) il numero di domande si riduce drasticamente, ma i dibattiti si fanno molto più accesi, soprattutto se le storie li riguardano da vicino. Così è probabile che si aprano infinite discussioni su quali siano le parole accettabili per parlare di qualcuno senza ferirlo o giudicarlo.

    Leggere ad alta voce in classe significa prendersi dei rischi, condividere storie ed esperienze che qualcuno potrebbe considerare dei tabù. Può sembrare strano, ma più si cresce e meno si parla di amore e ogni volta che questa parola (o anche solo il concetto) viene fuori in un racconto, mi diverto ad alzare furtiva lo sguardo dalle pagine e spiare le reazioni, gli sguardi che si abbassano, le risatine o le occhiate che si scambiano. Anche i nonni sono un tabù, come la morte, la disabilità, la tristezza, il dolore…eppure non sono tutti aspetti che fanno parte delle storie delle nostre vite?