“L’amore molesto”, Elena Ferrante

    Tutto ha inizio con la misteriosa morte di Amalia, madre di Delia. A partire da questo evento tragico, che poi troppo tragico forse non è, presente e passato cominciano ad intrecciarsi nei luoghi, nei nomi e nei personaggi, finché Delia non trova la sua ‘chiusura’ e torna a ‘camminare come un’adulta’, come se per gli adulti fosse più facile accettare la durezza della vita.

    L'argomento centrale è, senza dubbio, il rapporto madre-figlia.

    Io sono di parte perché adoro la Ferrante, tuttavia devo ammettere che, rispetto a L’amica geniale, ho trovato quest’opera solo abbozzata. Lungi da me muovere una critica alla Ferrante, sto solo dicendo che ho trovato L’amore molesto meno coraggioso degli altri romanzi che ho letto ed amato la scorsa estate.

    In un primo momento ero rimasta lievemente delusa, ma poi, ripensandoci, ho provato gioia, una gioia sconfinata per il coraggio di questa autrice che si è evoluta andando dritta per la sua strada. Ho come avuto la sensazione che ne L’amore molesto si stesse sperimentando, quasi a voler sondare il gusto dei lettori ed anche la sua capacità di esporsi, per poi, più tardi, riprendere ogni singola tematica e trasformarla in poesia, grazie a quell’uso magistrale delle parole di cui solo lei è capace.

    Mi è sembrato di scorgere un primo accenno alla 'smarginatura', che lei qui definisce con un'altra parola, ma non voglio peccare di presunzione.

    Di solito, mentre leggo, sottolineo frasi che mi colpiscono per il loro significato o per la scelta delle parole. Con la Ferrante è sempre diffcile operare delle scelte, sarei tentata di sottolineare ogni singola frase, quindi l’unica citazione che vi lascio di questo romanzo appartiene alle prime pagine:

    “Cercavo di riaddormentarmi ma non ci riuscivo: irrigidita tra le lenzuole, avevo l’impressione che sfaccendando mi trasformasse il corpo in quello di una bambina con le rughe.”