“Il caso Malaussène”, Daniel Pennac

    Un tuffo nel passato, e che tuffo.

    Avevo letteralmente divorato la saga della famiglia Malaussène in un tempo passato imprecisato che risale ad oltre 10 anni fa. Il primo libro me lo regalò mio padre e da lì fu amore a prima vista, un amore così grande da decidere persino di visitare Belleville, il quartiere dove si trova la ferramenta in cui vive il clan dei Malaussène. Quella visita fu un’avventura indimenticabile, per motivi che non vi dirò qui, ma se siete curiosi potete sempre leggere il post in cui ne parlo, quello sulla festa della donna.

    Tornando a noi, Pennac riprende da dove ci aveva lasciati? Più o meno, ma quelli che erano bambini adesso sono cresciuti e Benjamin è invecchiato, ma neppure troppo direi.

    Quello che mi sorprende sempre di Pennac è la sua capacità di mescolare sacro e profano con una facilità ed una leggerezza di cui solo lui è capace. La storia è ovviamente avvolta nel mistero e due sono i fatti principali su cui si indaga: il rapimento di un politico e la condotta di un procuratore sportivo, ma ovviamente c’è molto di più. Ci sono persone in giro per il mondo e ce ne sono altre nascoste negli angoli più impensabili, il tutto condito con quel pizzico di follia che non guasta mai.

    Il personaggio di Benjamin mi sembra delinearsi meglio rispetto ai precedenti romanzi, ma forse è solo una mia percezione perché in questo momento non sono certo la stessa persona che ero ai tempi de La fata carabina (per dirne uno) e probabilmente mi soffermo su frasi che una volta avrei ignorato…chissà?!? Se avessi avuto i miei appunti di lettura dell’epoca, sarebbe stato interessante rileggere l’intera saga, prendere nuovi appunti e poi confrontarli. Al tempo, purtroppo, non prendevo appunti.

    Ciò che ricordo del ‘vecchio’ Benjamin è il suo ruolo di capro espiatorio, nel lavoro come nella vita; ed anche la sua capacità di sorridere nonostante portasse il mondo sulle spalle. Adesso mi trovo davanti ad un Benjamin molto più disincantato ed, al tempo stesso, romanticamente idealista. Lo so che questa frase potrebbe sembrare un controsenso, ma vi giuro che è così, leggetelo e mi saprete ridire.

    Perché sacro e profano? Perché Pennac, mentre ti racconta una storia divertente, non perde occasione per insegnarti qualcosa sulla vita, come quando, ad esempio, nel denigrare le ONG si ricorda dei suoi ragazzi:

    “Non dire niente di tutto questo. Ascoltare i ragazzi senza scoraggiarli. In fondo adesso tocca a loro. Lasciare che si godano le loro illusioni, senza dirgli che sono le erbe aromatiche di cui è cosparso il grande abbacchio finanziario.”

    L’ambientazione di questo romanzo non è solo la caotica Parigi, ma anche il meraviglioso paesaggio offerto dal Vercors, anch’esso spunto di riflessione per l’autore. L’autore o il narratore? Buffo come io non faccia distinzione sebbene una differenza esista eccome. Questo romanzo ha molteplici narratori e questa è una novità per una abituata a leggere soltanto le parole di Benjamin Malaussène, perchè Pennac vuole darmi un punto di vista nuovo? E soprattutto, perché tutte le frasi che mi sono appuntata appartengono a Benjamin? Come questa, ad esempio, in cui si parla dell’infanzia, proprio in relazione al paesaggi del Vercors:

    “L’immensità si addice all’infanzia, che è ancora abitata dall’eternità. Passare le vacanze a oltre mille metri di altitudine e a ottanta chilometri da qualunque città significa alimentare i sogni, aprire le porte alle storie, parlare con il vento, ascoltare la notte, entrere in contatto con gli animali, dare un nome alle nuvole, alle stelle, ai fiori, alle erbe, agli insetti e agli alberi. Significa dare alla noia la sua ragione di essere e di durare.”

    Quando leggo un libro, soprattutto se si tratta di un romanzo, mi piace sempre andare alla ricerca di un qualcosa che si possa ricollegare all’arte della scrittura. Quel qualcosa può essere un nome, un dettaglio, un episodio oppure, quasi sempre, una frase. Di solito, anche se sto leggendo distrattamente, la riconosco perché mi accende il sorriso, proprio com’è successo in questo caso:

    ” Da dove agguantare il reale? Annosa questione. Gli incipit possibili sono infiniti! Incalcolabili, per dirla tutta. Ciò che distingue la realtà dalla finzione. Decidere di raccontare una storia significa sottomettersi a un inizio. Dire il reale significa prendere in considerazione tutti gli inizi possibili.”

    Alla fine del libro c’è una promessa importante:

    Questo libro fa per te se:

    1. hai letto ed amato la saga Malaussène
    2. non hai mai letto la saga Malaussène, ma sei disposto a farlo
    3. ami le narrazioni intricate, ma non troppo