“Bellman & Black”, Diane Setterfield

    The Thirteenth Tale fu senza dubbio uno dei romanzi che avrei voluto non finisse mai. Dopo averlo letto, aspettai per anni che la scrittrice producesse un altro dei suoi capolavori. Se non mi fossi arresa la mia attesa sarebbe terminata nel 2013, ma questo libro, sua seconda opera, è entrato nella mia vita solo nell’estate del 2016 e credo non ne uscirà più.

    Intorno a pagina 200, quando sono morti più o meno tutti (e non è uno spoiler perché lo si sa già dalla prima pagina), ho iniziato ad aumentare il ritmo di lettura. Memore dei colpi di scena di The Thirteenth Tale, non vedevo l’ora di scoprire cosa si fosse inventata la Setterfield questa volta. E così ho letto l’ultima parte del libro tutta di un fiato perché ero convinta di aver raggiunto il climax e, dopo il climax non c’è tempo da perdere perché ogni singolo evento inizierà ad acquisire un senso all’interno della narrazione. È così che si legge nei libri di testo, giusto?!?

    Niente, dimenticatevi tutto quello che avete studiato perché la Setterfield ha preparato un finale a sorpresa. Uno di quei finali che mi fa venire voglia di ricominciare a leggere il libro da pagina 1 per godermi quei dettagli che mi sono persa mentre correvo alla ricerca del turning point.

    Ambientata nell’Inghilterra vittoriana, gotica al punto giusto, dark quanto basta. Diane Setterfield non si è limitata a narrare la meravigliosa storia di un uomo che si è fatto da solo, i cui occhi si illuminano quando si parla di qualcosa che lo appassiona, ma ha anche fornito descrizioni accurate e dettagliate su aspetti apparentemente insignificanti, come ad esempio gli ingredienti utilizzati per colorare i tessuti. Ma del resto sono i dettagli che fanno la differenza.

    Alcuni passaggi del romanzo mi hanno portato alla mente The Picture of Dorian Gray o Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde, ma no, non è così. Diane Setterfield è una che, come descritto dall’Irish Independent, “defies genre”, sfida i generi letterari e nelle parole conclusive del suo romanzo fornisce forse la sua personale definizione dell’opera:

    “…the descendants of Tought and Memory will dance together in a passionate and spectacular act of collectiveness: a storytelling, of gods, of men of rooks.”

    Ed ancora, non contenta, eccola che schernisce l’aura sacra che sta intorno ai finali:

    All stories must come to an end. This one. Everyone’s. Your own.”

     

    Questo libro non fa per te se:

    • hai la fobia degli uccelli
    • sei a disagio con la morte ed il lutto, o semplicemente stai attraversando un periodo in cui non hai piacere di trattare l’argomento